La
Corte Costituzionale composta dai signori:
Presidente:
prof Antonio La Pergola;
Giudici:
prof Virgilio Andrioli, prof Giuseppe Ferrari, dott. Francesco
Saja, prof Giovanni
Conso,
dott. Aldo Corasaniti, prof Giuseppe Borzellino. dott. Francesco Greco,
prof Renato
Dell'Andro.
prof Gabriele Pescatore, avv. Ugo Spagnoli, prof Francesco Paolo
Casavola, prof.
Vincenzo
Caianiello
ha
pronunciato la seguente sentenza
SENTENZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 28 della legge 30
marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5
e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili), promosso con
la seguente ordinanza:
1)ordinanza
emessa il 28 novembre 1984 dal Tribunale Amministrativo Regionale del
Lazio sul ricorso proposto da Salvi Giovanni ed altri iscritti al n. 197
del registro ordinanze 1986 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell'anno 1986:
Visti
gli atti di costituzione di Salvi Giovanni ed altri:
Udito
nell’udienza pubblica del 14 aprile 1987 il Giudice
relatore Ugo Spagnoli;
Uditi
l'avv. Giovanni C. Sciacca per Salvi Giovanni ed altri;
Ritenuto
in fatto
(I fatti
all’origine del ricorso)
1.
Con ricorso del 19 novembre 1983 i coniugi Giovanni Salvi e
Liliana Carosi impugnavano innanzi al TAR del Lazio la mancata
ammissione della loro figlia Carla, diciottenne portatrice di handicap,
a ripetere nell'anno scolastico 1983-84 la frequenza della prima classe
dell' Istituto Professionale di Stato per il Corumercio “N. Garrone”
di Roma. Costei nell'anno precedente era stata ritenuta
inclassificabile, ed il Preside, accettata con riserva la domanda di
iscrizione, aveva rimesso la questione al Provveditore agli Studi,
facendo presente che - secondo gli insegnanti -la giovane non avrebbe
potuto trarre un qualche profitto dalla permanenza nella scuola media
superiore. Il Provveditore agli Studi, di fronte alla certificazione
medica allegata all'istanza. aveva invitato il Preside ad acquisire
presso i competenti servizi specialistici dell'USL un parere medico
legale, da esprimersi sulla base sia di accertamenti di carattere
sanitario e psicologico, sia della conoscenza della situazione
determinatasi nell'anno precedente e dei giudizi espressi dal Consiglio
di classe in sede di verifica finale. Il responso sanitario, peraltro,
aveva escluso che l'handicap - di tipo neuropsichico - fosse da
considerarsi grave, ed aveva sottolineato che la giovane poteva trarre
dalla frequenza un beneficio che, se relativo quanto all'apprendimento,
era viceversa notevole sul terreno della socializzazione e
dell'integrazione. sì da far ritenere fondamentale la riammissione
della giovane, per la quale l'isolamento avrebbe contribuito in maniera
assolutamente negativa alla formazione del carattere.
Ciononostante,
la richiesta di reiscrizione era stata respinta di fatto, con il rifiuto
opposto alla giovane ad assistere alle lezioni.
(Il primo
ricorso al TAR del Lazio)
2. Con
ordinanza del 28 novembre 1984, il TAR ha sollevato questione di
illegittimità costituzionale del l'art. 28 della legge 30 marzo 1971,
n. 118, assumendone il contrasto con gli artt. 3,30,31 e 34 Cost.
All'inserimento
scolastico degli handicappati - ricorda innanzitutto il TAR rimettente -
si provvide solo a partire dagli anni sessanta, prima mediante classi
speciali e differenziali (circolari un. 4525 del 1962 e 93 del 1963),
poi con l'ammissione in classi normali, opportunamente dimensionate, e
l'utilizzazione in esse di insegnanti di sostegno (circolari un. 227 del
1975, 228 del 1976 e 216 del 1977).
Con la legge 4
agosto 1977, n. 517 furono poi previste (artt. 2 e 7) forme di
integrazione e di sostegno in favore degli alunni handicappati, in
particolare con l'impiego di insegnanti specializzati e, nella scuola
media, anche di attività scolastiche integrative.
Con l'art. 12
della legge 20 maggio 1982, n. 270 si provvide poi a fissare le
dotazioni organiche del personale docente delle scuole materne,
elementari e medie, tenendo conto dei posti di sostegno da istituire a
favore degli alunni portatori di handicap.
Ciò premesso,
il TAR del Lazio osserva che l'impugnato art. 28 legge n. 118/1971 -
recante “Conversione in legge del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5,
e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili" -
disponendo in ordine alla frequenza scolastica di costoro, prevede, al
secondo comma, che t'istruzione dell'obbligo deve avvenire nelle classi
normali della scuola pubblica, salvi i casi in cui i soggetti siano
affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche ditale
gravita da impedire o rendere molto difficoltoso l'apprendimento o
l'inserimento nelle predette classi normali"; ed al terzo comma,
che “Sarà facilitata, inoltre, la frequenza degli invalidi e mutilati
civili alle scuole medie superiori ed universitarie".
Richiamando le
deduzioni dei ricorrenti, il giudice a quo lamenta che tali
disposizioni nulla prevedano in favore degli handicappati, diversamente
che per i mutilati ed invalidi civili cui si assicura la frequenza
scolastica anche se afflitti da menomazioni fisiche o psichiche pari a
quelle dei primi. Ma avverte che “la questione investe più
direttamente" le richiamate disposizioni delle leggi un. 517 del
1977 e 270 del 1982. in quanto non garantiscono agli l'andicappati la
frequenza nella scuola media di secondo grado; ed assume che tale
carenza legislativa sia incostituzionale:
“in
particolare rispetto all'art. 3 che, dopo affermato il principio di
uguaglianza, affida all'Ordinamento il compito di rimuovere gli ostacoli
impedenti il pieno sviluppo della persona umana; rispetto all'art. 30
che consacra il diritto all'istruzione di ogni cittadino; all'art. 31
che affida alla Repubblica il compito di proteggere la gioventù,
favorendo gli istituti necessari allo scopo: come anche all'art. 34 ove
si afferma che la Repubblica rende effettivo il diritto di tutti a
frequentare la scuola".
(Gli
interventi delle parti private)
3.
Il Presidente del Consiglio dei ministri non é intervenuto.
Si sono invece
costituite le parti private Giovanni e Carla Salvi e Liliana Carosi, a
mezzo degli avv.ti G. C. Sciacca e P. d'Amelio.
Nella relativa
memoria vengono svolte considerazioni analoghe a quelle prospettate
nell'ordinanza di rimessione.
Si assume, in
particolare, essere privo di giustficazione che si prevedano per
l'invalido civile misure atte ad agevolarne l'inserimento nella vita
sociale e lavorativa, mentre l'handicappato sarebbe tutelato "solo
per quanto riguarda il suo inserimento nella scuola dell'obbligo, dopo
di che. essendo le sue minorazioni tali da impedirgli un'attività
lavorativa normale. viene completamente abbandonato". Ciò sarebbe
in contrasto con i principi posti dagli artt. 30, 31, 34 e 38, 30 comma,
Cost., dai quali discenderebbe il compito dello Stato di garantire anche
ai minorati formazione ed educazione (intese come svi1uppo integrale
della persona: art. 2 Cost.), nonché, il conseguente avviamento
professionale. La permanenza nel contesto scolastico dopo la scuola
dell'obbligo sarebbe invece uno dei mezzi di attuazione di tali fini, in
mancanza della quale dovrebbe preventivarsi "una sicura
regressione, in termini di maturazione psicointellettuale e di
socialità" e si renderebbero perciò vani i risultati già
raggiunti.
Considerato
in diritto
(Sulla
legittimità costituzionale dell’art 28 della Legge 118/71, comma
terzo)
1.
Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale Amministrativo
Regionale del Lazio dubita.
in riferimento agli artt.
3, 30, 31 e 34 Cost., della legittimità costituzionale dell'art. 28
della legge
30 marzo 1971, n. 118, recante "Conversione
in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove
norme in favore dei mutilati ed invalidi
civili".
Tale
disposizione detta “provvedimenti per la frequenza scolastica" di
questi ultimi: ed in particolare, dopo aver previsto, nel primo comma,
misure dirette a rendere possibile o comunque ad agevolare in generale
l'accesso e la permanenza nella scuola (trasporto gratuito dalla
abitazione alla scuola, accesso a questa mediante adatti accorgimenti ed
eliminazione delle cosiddette barriere architettoniche, assistenza agli
invalidi più gravi durante le ore scolastiche) prescrive, nel secondo
comma, che, per quanto riguarda l'istruzione dell'obbligo, questa
”deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica salvi i casi
in cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive o da
menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere molto
difficoltoso l'apprendimento o l'inserimento nelle predette classi
normali".
Il
terzo comma dispone che “sarà facilitata, inoltre, la frequenza degli
invalidi e mutilati civili alle scuole medie superiori ed
universitarie"; il quarto comma infine, estende la medesima
disciplina alle istituzioni prescolastiche e ai dopo-scuola.
Come
precisato in narrativa, nel caso di specie il TAR rimettente era
chiamato a decidere in ordine alla legittimità della mancata
reiscrizione di una giovane portatrice di handicap alla prima classe di
un Istituto Professionale di Stato. manifestata col rifiuto oppostole ad
assistere alle lezioni nonostante il contrario parere espresso dai
competenti servizi specialistici sotto il profilo sanitario e
psicologico; parere nel quale era stata sottolineata la non gravità
dell'affezione e la fondamentale importanza della frequenza scolastica
nell'indurre momenti di socializzazione ed integrazione atti a favorirne
un' evoluzione positiva.
La
questione è indubbiamente rilevante, posto che la disposizione
impugnata, nella prospettazione del giudice a quo, non assicura ai
portatori di handicaps il diritto alla frequenza delle scuole secondarie
superiori.
(L'evoluzione
dalla normativa sull’inserimento scolastico degli alunni handicappati)
2. Giova
anzitutto premettere all'esame della specifica questione sollevata, un
sia pur sintetico cenno all'evoluzione normativa sull'inserimento nella
scuola dei portatori di handicaps, in quanto è anche sulla
considerazione di taluni suoi caratteri che l'ordinanza di rimessione
fonda le proprie censure.
Come è noto, il
problema dell'inserimento di minorati nella scuola è stato per lungo
tempo affrontato e risolto, nel nostro ordinamento, con gli strumenti
delle scuole speciali e delle classi differenziali.
Ancora negli
anni sessanta, le leggi 24 luglio 1962, n. 1073 (recante i
"Provvedimenti per lo sviluppo della scuola nel triennio dal 1962
al 1965" e 31 ottobre 1966, n. 942 (relativa al "Finanziamento
del piano di sviluppo della scuola nel quinquennio dal 1966 al
1970") prevedono stanziamenti per il funzionamento di tali
strutture speciali. La legge 31 dicembre 1962, n. 1859, istitutiva
della scuola media statale, contempla classi differenziali per
"alunni disadattati scolastici"(art. 12) e la legge 18 marzo
1968, n. 444, relativa alla scuola materna statale, istituisce sezioni
o, per i casi più gravi, scuole speciali per i bambini da tre a cinque
armi affetti da disturbi dell'intelligenza o del comportamento oda
menomazioni fisiche o sensoriali.
Negli
armi settanta, questo indirizzo viene sostanzialmente ribaltato. La
legge 30 marzo 1971, n. 118 - oltre a prevedere, per i "mutilati ed
invalidi civili", corsi di istruzione per l'espletamento o
completamento della scuola dell'obbligo presso i centri di
riabilitazione, scuole per la formazione di assistenti educatori e
assistenti sociali specializzati e particolari misure per
l'addestramento professionale (artt. 4, 5 e 23) - stabilisce come si è
visto - che "l'istruzione dell'obbligo deve avvenire nelle classi
normali della scuola pubblica"(art. 28) e che "esclusivamente
quando sia accertata l'impossibilità di far frequentare ai minorati la
scuola pubblica dell'obbligo" si istituiranno “per i minori
ricoverati" nei centri di degenza e di recupero, classi normali
“quali sezioni staccate della scuola statale"(art. 29).
La legge 4
agosto 1977, n. 517, poi, ~ fine di agevolare l'attuazione del diritto
allo studio e la promozione della piena formazione della personalità
prevede per la scuola elementare (art. 2) e media (art. 7) forme di
integrazione e di sostegno a favore degli alunni portatori di handicaps.
da realizzarsi tra l'altro attraverso limitazioni numeriche delle classi
in cui costoro sono inseriti. predisposizione di particolari servizi ed
impiego di docenti specializzati. Con la medesima legge (art. 7, ultimo
comma) sono abolite le classi differenziali. La successiva legge 20
maggio 1982. n. 270 provvede poi (art. 12) circa le dotazioni organiche,
nei ruoli di dette scuole, degli insegnanti di sostegno (di regola, uno
ogni quattro alunni portatori di handicap).
La disciplina
cosi sommariamente richiamata concerne peraltro solo la scuola materna,
elementare e media. mentre per la scuola secondaria superiore non ha
avuto sviluppi, nella legislazione nazionale, l’indicazione contenuta
nel già citato terzo comma dell'art. 28 legge n. 118 del 1971.
Per la verità,
la previsione di 'forme di integrazione educativa" atte a
facilitare l'inserimento e la formazione degli handicappati anche in
tale ordine di scuola è diffusamente presente al livello di
legislazione regionale (cir., in particolare, l,r. Veneto 8 maggio 1980,
n. 46; l.r. Friuli-Venezia Giulia 21 dicembre 1981, n. 87; l.r. Sicilia
18 aprile 1981, n. 68; l.r. Calabria 3 settembre 1984, n. 28; ecc.).
Spazi per
concrete iniziative di inserimento dei portatori di handicaps nelle
scuole superiori sono inoltre individuabili nella definizione normativa
dei compiti degli organi collegiali della scuola (cfr. D.P.R. 31 maggio
1974, n. 416, artt. 3, 6,12 e 15). Specifiche prescrizioni in tal
senso sono inoltre contenute nelle circolari ministeriali nn. 129 del 28
aprile 1982 e 163 del 16 giugno 1983 (quest'ultima relativa alle prove
di esame di maturità da parte di candidati portatori di handicap).
Nell'ottava e
nella nona legislatura, infine, sono state assunte molteplici iniziative
legislative volte a disciplinare la frequenza, da parte degli
handicappati, delle scuole secondarie superiori e dell'università, con
la previsione di misure atte a realizzarla concretamente: ma esse non
sono riuscite a tradursi in provvedimenti legislativi.
(Ancora
sull'analisi della Legge 118/1971)
3.Al fine
di puntualizzare l'oggetto del presente giudizio di costituzionalità
giova ricordare che il giudice rimettente, nel dare inizialmente conto
delle prospettazioni della parte privata, sembra lamentare (senza però
fare inequivocabilmente propria la censura) che le disposizioni di cui
al secondo e terzo comma dell'art. 28 legge n. 118 del 1971 concernano
solo i mutilati ed invalidi civili, e ne siano viceversa esclusi i
portatori di handicap.
Cosi intesa, la
questione muoverebbe però da un erroneo presupposto. Dispone invero
l'art. 2, secondo comma, ditale testo legislativo che "Agli effetti
della presente legge, si considerano mutilati ed invalidi civili i
cittadini affetti da minorazioni congenite o acquisite, anche a
carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofienie
di carattere organico o dismetabolico, insufficienze mentali derivanti
da difetti sensoriali e funzioni che abbiano subito una riduzione
permanente della capacità lavorativa non inferiore ad un terzo o, se
minori di anni 18, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i
compiti e le funzioni proprie della loro età"
ed è pacifico in dottrina e giurisprudenza che in tale ampia
nozione sono ricompresi i soggetti affetti da menomazioni fisiche,
psichiche e sensoriali comportanti sensibili difficoltà di sviluppo.
apprendimento ed inserimento nella vita lavorativa e sociale. cui il
concetto di “portatore di handicap" comunemente si riferisce
(anche. se al riguardo non esiste, allo stato - salvo che in talune
leggi regionali - una precisa definizione legislativa)
Dopo il suddetto
cenno iniziale. peraltro. l'ordinanza di rimessione prosegue con una
diffusa esposizione della soprarichiamata normativa in materia e nella
parte finale incentra le proprie censure sulla genericità della
previsione di cui all'impugnato art. 28. lamentando la carenza di
disposizioni. quali quelle di cui alle citate leggi un. 517 del 1977 e
270 del 1982, idonee a garantire ai portatori di handicaps, con la
predisposizione di strumenti all'uopo idonei. la frequenza della scuola
secondaria superiore.
La questione
dedotta investe, perciò, il terzo comma del citato art. 28, in quanto,
limitandosi a disporre che “sarà facilitata" tale frequenza, non
assicura l'effettiva e concreta realizzazione ditale diritto; nel che il
giudice rimettente ravvisa una violazione degli artt. 3.30, 31 e 34
Cost.
4.
La disposizione impugnata ha indubbiamente un contenuto esclusivamente
programmatorio, limitandosi ad esprimere solo un generico impegno ed un
semplice rinvio ad imprecisate e future facilitazioni. Il suo tenore non
è perciò idoneo a conferire certezza alla condizione giuridica dell'
handicappato aspirante alla frequenza della scuola secondaria superiore;
a garantirla, cioè. come diritto pieno pur ove non sussistano (come nel
caso oggetto del giudizio a quo) le condizioni che -se concretamente
verificate - ne limitano la fruizione per la scuola dell'obbligo a
termini del precedente secondo comma del medesimo articolo. Per la
scuola secondaria superiore, inoltre. non solo mancano norme che
apprestino gli strumenti atti a corredare tale diritto di opportuni
supporti organizzativi e specialistici - come avviene per la scuola
dell'obbligo ai sensi dei richiamati articoli delle leggi nn, 517 del
1977 e 270 del 1982-: ma la disposizione impugnata, non è, per la sua
formulazione, idonea a costituire il fondamento cogente né della
disciplina, che pur se in modo parziale e disorganico - è stata finora
emanata a livello di normazione regionale o secondaria, né delle
iniziative che sui piano della gestione concreta competono, come si è
detto, agli organi scolastici.
(Gli
argomenti e i contributi fondamentali delle scienze sociali)
5. La questione,
nei termini anzidetti. è fondata
Per valutare la
condizione giuridica dei portatori di handicap in riferimento
all'istituzione scolastica occorre innanzitutto considerare, da un lato,
che è ormai superata in sede scientifica la concezione di una loro
radicale irrecuperabilità. dall'altro che l'inserimento e
l'integrazione nella scuola ha fondamentale importanza al fine di
favorire il recupero ditali soggetti. La partecipazione al processo
educativo con insegnanti e compagni normodotati costituisce, infatti, un
rilevante fattore di socializzazione e può contribuire in modo decisivo
a stimolare le potenzialità dello svantaggiato, al dispiegarsi cioè di
quelle sollecitazioni psicologiche atte a migliorare i processi di
apprendimento, di comunicazione e di relazione attraverso la progressiva
riduzione dei condizionamenti indotti dalla minorazione.
Insieme alle
pratiche di cura e riabilitazione ed al proficuo inserimento nella
famiglia, la frequenza scolastica è dunque un essenziale fattore di
recupero del portatore di handicap e di superamento della sua
emarginazione, in un complesso intreccio in cui ciascuno ditali elementi
interagisce sull'altro e, se ha evoluzione positiva, può operare in
funzione sinergica ai fini del complessivo sviluppo della personalità.
Da siffatto
ordine concettuale ha indubbiamente preso le mosse il legislatore
ordinario allorquando, con le già richiamate disposizioni delle leggi
del 1971 e 1977, ha da un lato previsto l'inserimento in via di
principio dei minorati nella normale scuola dell'obbligo - onde evitare
i possibili effetti di segregazione ed isolamento ed i connessi rischi
di regressione - dall'altro ha concepito le forme di integrazione,
sostegno ed assistenza ivi previste
come strumenti preordinati ad agevolare non solo l'attuazione del
diritto allo studio ma anche la piena formazione della personalità
degli alunni handicappati.
Ora, è
innegabile che le esigenze di apprendimento e socializzazione che
rendono proficua a questo fine la frequenza scolastica non vengono meno
col compimento della scuola dell'obbligo; anzi, proprio perché, si
tratta di complessi e delicati processi nei quali il portatore di
handicap incontra particolari difficoltà, è evidente che una loro
artificiosa interruzione, facendo mancare uno dei fattori favorenti lo
sviluppo della personalità, può comportare rischi di arresto di
questo, quando non di regressione.
Altrettanto
innegabile è, d'altra parte, che l'apprendimento e l'integrazione nella
scuola sono, a loro volta, funzionali ad un più pieno inserimento dell'
handicappato nella società e nel mondo del lavoro; e che lo stesso
svolgimento di attività professionali più qualificate di quelle
attingibili col mero titolo della scuola dell'obbligo - e quindi il
compimento degli studi inferiori - può favorire un più ricco sviluppo
delle potenzialità del giovane svantaggiato e quindi avvicinarlo alla
meta della piena integrazione sociale.
(Analisi
dei valori degli articoli
della Costituzione)
6. Dalle
considerazioni ora svolte è agevole arguire come sul tema della
condizione giuridica del portatore di handicap confluiscono un complesso
di valori che attingono ai fondamentali motivi ispiratori del disegno
costituzionale: e che, conseguentemente, il canone ermeneutico da
impiegare in siffatta materia è essenzialmente dato dall'
interrelazione e integrazione tra i precetti in cui quei valori trovano
espressione e tutela.
Statuendo che
“la scuola è aperta a tutti", e con ciò riconoscendo in via
generale l'istruzione come diritto di tutti i cittadini, l'art. 34,
primo comma, Cost. pone un principio nel quale la basilare garanzia dei
diritti inviolabili dell'uomo "nelle formazioni sociali ove si
svolge la sua personalità" apprestata dall'art. 2 Cost. trova
espressione in riferimento a quella formazione sociale che è la comunità
scolastica. L'art. 2 poi, si raccorda e si integra con l'altra norma,
pure fondamentale, di cui all'art. 3, secondo comma, che richiede il
superamento delle sperequazioni di situazioni sia economiche che sociali
suscettibili di ostacolare il pieno sviluppo delle persone dei
cittadini.
Lette
alla luce di questi principi fondamentali le successive disposizioni
contenute nell'art. 34 palesano il significato di garantire il diritto
all'istruzione malgrado ogni possibile ostacolo che di fatto impedisca
il pieno sviluppo della persona. L'effettività dell'istruzione
dell'obbligo è, nel secondo comma, garantita dalla sua gratuità;
quella dell'istruzione superiore è garantita anche a chi, capace e
meritevole, sia privo di mezzi, mediante borse di studio, assegni alle
famiglie ed altre provvidenze (terzo e quarto comma), in tali
disposizioni, l'accento è essenzialmente posto sugli ostacoli di ordine
economico, giacché, il Costituente era ben consapevole che è
principalmente in queste che trova radice la disuguaglianza delle
posizioni di partenza e che era perciò indispensabile dettare al
riguardo espresse prescrizioni idonee a garantire l'effettività del
principio di cui al primo comma. Ciò però non significa che
l'applicazione di questo possa incontrare limiti in ostacoli di altro
ordine, la cui rimozione è postulata in via generale come compito della
Repubblica nelle disposizioni di cui agli artt. 2 e 3, secondo comma.
Sostenere ciò significherebbe sottacere il fatto evidente che
l'inserimento nella scuola e l'acquisizione di una compiuta istruzione
sono strumento fondamentale per quel "pieno sviluppo della persona
umana" che tali disposizioni additano come meta da raggiungere.
In particolare,
assumere che il riferimento ai "capaci e meritevoli" contenuto
nel terzo comma dell'art. 34 comporti l'esclusione dall'istruzione
superiore degli handicappati in quanto "incapaci",
equivarrebbe a postulare come dato insormontabile una disuguaglianza di
fatto rispetto alla quale è invece doveroso apprestare gli strumenti
idonei a rimuoverla, tra i quali è appunto fondamentale - per quanto si
è già detto - l'effettivo inserimento di tali soggetti nella scuola.
Per
costoro, d'altra parte, capacità e merito vanno valutati secondo
parametri peculiari, adeguati alle rispettive situazioni di minorazione,
come le stesse circolari ministeriali dianzi citate si sono in certa
misura sforzate di prescrivere (cfr. par. 2); ed il precludere ad essi
l'inserimento negli istituti d'istruzione superiore in base ad una
presunzione di incapacità - soprattutto, senza aver preventivamente
predisposto gli strumenti (cioè le "altre provvidenze" di cui
all'art. 34, quarto comma) idonei a sopperire all'iniziale posizione di
svantaggio - significherebbe non solo assumere come insuperabili
ostacoli che è invece doveroso tentare di eliminare, o almeno
attenuare, ma dare per dimostrato ciò che va invece concretamente
verificato e sperimentato onde assicurare pari opportunità a tutti, e
quindi anche ai soggetti in questione. Inoltre, se l'obiettivo è quello
di garantire per tutti il pieno sviluppo della persona e se, dunque,
compito della Repubblica è apprestare i mezzi per raggiungerlo, non
v’ha dubbio che alle condizioni di minorazione che tale sviluppo
ostacolano debba prestarsi speciale attenzione e che in quest'ottica
vadano individuati i compiti della scuola quale fondamentale istituzione
deputata a tal fine. Di ciò si è mostrato consapevole il legislatore
ordinario, che non a caso nelle leggi del 1971 e 1977 dianzi citate ha
al riguardo congiuntamente indicato i fini dell' "istruzione"
e della "piena formazione della personalità" (ovvero il che
è lo stesso - quelli dell' "apprendimento"e dell'
"inserimento"), inquadrando in tale contesto le specifiche
disposizioni dettate in favore dei minorati. Che poi ai medesimi compiti
sia deputata anche l'istruzione superiore è dimostrato, prima ancora
che da specifiche disposizioni in tal senso (cfr. D.P.~ 31 maggio 1974,
n. 417, artt. I e 2) dall'ovvia constatazione che essa stessa è
strumento di piena formazione della personalità.
(Interpretazione corretta
dell’art.38, c 3, Cost.:”gli inabili ed i minorati hanno diritto
all’educazione ed all’avviamento professionale")
7.
Per i minorati, d'altra parte - a dimostrazione della speciale
considerazione di cui devono essere oggetto - il perseguimento
dell'obiettivo ora indicato non è stato dal Costituente rimesso alle
sole disposizioni generali. L'art. 38, terzo comma, prescrive infatti
che "gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione ed
all'avviamento professionale.
Attesa
la chiara formulazione della norma, che sancisce un duplice diritto, non
potrebbe dedursi dalla sua collocazione nel titolo dedicato ai rapporti
economici che essa garantisca l'educazione solo in quanto funzionale
alla formazione professionale e che quindi solo per questa via sia a
tali soggetti assicurato l'inserimento nella vita produttiva: se cosi
fosse, il primo termine sarebbe evidentemente superfluo. Certo, la
seconda garanzia - che nei confronti dei portatori di handicap trova
specifica attuazione nella legge quadro in materia di formazione
professionale, attraverso la prescrizione alle regioni di “idonei
interventi" atti ad “assicurarne il completo inserimento
nell'attività formativa e favorirne l'integrazione sociale" art.
3, lett. m), leg. n. 845 del 1978 - ha per costoro fondamentale
importanza, specie per quei casi di handicaps gravi o gravissimi per i
quali risulti concretamente impossibile l'apprendimento e l'integrazione
nella scuola secondaria superiore: impedimenti che peraltro alla stregua
di quanto s'è detto, ed in coerenza con quanto chiaramente prescrive,
per la scuola dell'obbligo, l'art. 28 della legge n. 118 del 1971 vanno
valutati esclusivamente in riferimento all'interesse dell'handicappato e
non a quello ipoteticamente contrapposto della comunità scolastica,
misurati su entrambi gli anzidetti parametri (apprendimento ed
inserimento) e non solo sul primo e concretamente verificati alla
stregua di già predisposte strutture di sostegno, senza cioè che la
loro permanenza possa imputarsi alla carenza di queste.
Se, quindi, l'educazione che deve essere garantita
ai minorati ai sensi del terzo comma dell'art. 38 è cosa diversa da
quella propedeutica o inerente alla formazione professionale - che si
rivolge a chi ha assolto l'obbligo scolastico o ne è stato prosciolto
(art. 2, secondo comma, legge n. 845 del 1978 cit.) - è
giocoforza ritenere che la disposizione sia da riferire all'educazione
conseguibile anche attraverso l'istruzione superiore. Benché non si
esaurisca in ciò, l'educazione è infatti “l'effetto finale
complessivo e formativo della persona in tutti i suoi aspetti" che
consegue all'insegnamento ed alla istruzione con questo acquisita (cfr.
sent. n. 7 del 1967).
Sotto questo aspetto, dunque, la disposizione in
discorso integra e specifica quella contenuta nel l'art. 34, per quanto
concerne l'istruzione che va garantita ai minorati; e la sua
collocazione nel III, anziché nel Il titolo della I parte della
Costituzione ben si giustifica coll'essere l'istruzione in questione
finalizzata anche all'inserimento di tali soggetti nel mondo del lavoro.
Garantire
ai minorati ed invalidi tale possibilità anche attraverso l'istruzione
superiore corrisponde perciò ad una precisa direttiva costituzionale: e
non a caso questa Corte, decidendo in ordine ad una situazione per molti
versi analoga, nella quale era stato posto in discussione il rapporto
tra il cittadino invalido e il suo inserimento nel mondo del lavoro, ha
affermato (sent. n. 163 del 1983) che “non sono costituzionalmente,
oltre che moralmente ammissibili esclusioni e limitazioni dirette a
relegare sui piano di isolamento e di assurda discriminazione soggetti
che, particolarmente colpiti nella loro efficienza fisica e mentale,
hanno invece pieno diritto di inserirsi nel mondo del lavoro".
(Doveri e interventi conseguenti per le
istituzioni)
8. Ciò che va ancora sottolineato, poi,
è che, onde garantire l'effettività del diritto all'educazione (nel
senso ora precisato) di minorati ed invalidi - e quindi dei portatori di
handicap - lo stesso art. 38 dispone, al quarto comma, che ai compiti a
ciò inerenti debbano provvedere organi ed istituti predisposti o
integrati dallo Stato". Ciò, per un verso, evidenzia la doverosità
delle misure di integrazione e sostegno idonee a consentire ai portatori
di handicap la frequenza degli istituti d'istruzione anche superiore:
dimostrando, tra l'altro, che è attraverso questi strumenti, e non col
sacrificio del diritto di quelli, che va realizzata la composizione tra
la fruizione di tale diritto e le esigenze di funzionalità del servizio
scolastico.
Per altro verso, la disposizione pone in risalto
come all'assolvimento di tali compiti siano deputati primariamente gli
organi pubblici Di ciò si ha sotto altro e più generale profilo,
significativa conferma nella disposizione di cui all'art. 31, primo
comma, Cost., che, facendo carico a tali organi di agevolare, con misure
economiche e "altre provvidenze", l'assolvimento dei compiti
della famiglia tra i quali è quello dell'istruzione ed educazione dei
figli (art. 30) presuppone che esso possa per
vari motivi risultare difficoltoso: ed è evidente che se vi è
un settore in cui la dedizione della famiglia può risultare inadeguata,
esso è proprio quello dell’educazione e sostegno dei figli
handicappati. Ciò dà la misura dell’impegno che in tale campo è
richiesto tanto allo Stato quanto alle Regioni, alle quali ultime spetta
in particolare provvedere, con i necessari supporti, all’assistenza
scolastica in favore dei “minorati psico-fisici” (art. 42 D.P.R.
n.616 del 1977).
Nello
stesso senso depongono, del resto, i compiti posti alta Repubblica dall'
art. 32 Cost., atteso l'ausilio al superamento od attenuazione degli
handicaps (ovvero ad evitare interruzioni di tali positive evoluzioni)
che può essere fornito, come si è già detto, dall'integrazione negli
istituti d'istruzione superiore: non a caso la legge di riforma
sanitaria n. 833 del 1978 pone l'obiettivo, tra l'altro, della
“promozione della salute nell'età evolutiva... favorendo con ogni
mezzo l'integrazione dei soggetti handicappati" (art. 2, secondo
comma, lett. d).
(Conclusioni)
9.
Alla stregua delle suesposte considerazioni, l'art. 28, terzo comma,
della legge n. 118 del 1971 va dichiarato costituzionalmente illegittimo
nella parte in cui, in riferimento ai soggetti portatori di handicap,
prevede che “sarà facilitata", anziché disporre che
~”assicurata", la frequenza alle scuole medie superiori.
In questo modo, la disposizione acquista valore
immediatamente precettivo e cogente, ed impone perciò ai competenti
organi scolastici sia di non frapporre a tale frequenza impedimenti non
consentiti alla stregua delle precisazioni sopra svolte, sia di dare
attuazione alle misure che, in virtù dei poteri-doveri loro
istituzionalmente attribuiti, ovvero dell'esistente normazione
regionale, secondaria o amministrativa (cfr. par. 2), possano già allo
stato essere da essi concretizzate o promosse.
Spetta
ovviamente al legislatore il compito - la cui importanza ed urgenza è
sottolineata dalle considerazioni sopra svolte - di dettare nell'ambito
della propria discrezionalità una compiuta disciplina idonea a dare
organica soluzione a tale rilevante problema umano e sociale.
Per questi motivi la Corte Costituzionale
dichiara
l'illegittimità costituzionale dell'ari. 28, terzo comma, della legge
30 marzo 1971, n. 118 - recante "Conversione in legge del D.L, 30
gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi
civili" - nella parte in cui, in riferimento ai soggetti portatori
di handicap, prevede che "sarà facilitata", anziché,
disporre che "è assicurata" la frequenza alle scuole medie superiori.
Cosi deciso a Roma, il 3 giugno 1987. Depositata
in Cancelleria l'8 giugno 1987.
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